Monte Rinaldo
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La fondazione di Monte Rinaldo risale all’età romana. Dopo la distruzione del castello di Bucchiano nel 1378, gli abitanti si spostarono dove oggi sorge il Paese, poiché l’altitudine garantiva minore esposizione ad attacchi nemici. Fu oggetto di contesa tra il Ducato di Fermo, la città di Ascoli ed i monaci Farfensi della vicina Santa Vittoria, ma alla fine nel 1333 passò definitivamente sotto le dipendenze del vescovo di Fermo. Nel 1539 furono definitivamente stabiliti i confini con i vicini Montelparo e Sant’Elpidio Morico. In seguito Monte Rinaldo visse il dominio dello Stato Pontificio, dell’invasione Francese e di quella napoleonica fino alla restaurazione Pontificia ed alla proclamazione del Regno d’Italia nel 1861. Il Comune si erge su tre colli tra la valle tra il fiume Aso e l’Ete Vivo, a metà strada tra il mare Adriatico e i Monti Sibillini, con un clima temperato nelle notti d’estate ed un contesto in cui il tempo sembra essersi fermato. Vanto del borgo è il famoso tempio ellenistico-romano costituito da un porticato, da un tempio e da un edificio rettangolare ancora di incerta destinazione i cui resti monumentali lo rendono non solo uno dei più importanti della Regione, ma anche una gradita meta di escursioni a carattere culturale e turistico, alla scoperta dell’entroterra fermano. Tra le prelibatezze culinarie si evidenzia il castrato e le tipicità delle Marche Sud. Oggi Monte Rinaldo si presenta come un’importante meta culturale, enogastronomica, naturale e paesaggistica delle Marche.
La campagna di scavo 2019 ha avuto ufficialmente inizio, i primi giorni di luglio, presso l’Area Archeologica la Cuma. Lo staff di archeologi e restauratori dell’Università di Bologna e della British school at Rome è stato impegnato per sei settimane nelle operazioni di scavo per approfondire quanto già emerso l’anno precedente e ad allargare l’area di indagine per chiarire aspetti fondamentali della storia del monumento e del sito. Quest’anno i lavori sono iniziati con la riapertura di parte dello scavo effettuato lo scorso anno, dal quale era venuto alla luce un vano, e i lavori sono proseguiti approfondendo lo scavo proprio attorno ad esso. Un’attività che ha coinvolto circa trenta giovani studenti universitari indaffarati nelle operazioni di recupero, oltre a Professori e Responsabili di cantiere, tutti impegnati nella valorizzazione dell’area che si realizzerà mediante l’allestimento di una mostra temporanea, a partire dal mese di settembre, che raccolga sia parte del materiale architettonico del santuario, scoperto nel secolo scorso e attualmente in corso di restauro presso i Laboratori del Disci (sede di Ravenna), sia parte dei reperti provenienti dai nuovi scavi dell’Università di Bologna. La campagna di scavo è un appuntamento particolarmente voluto e sentito dall’intera comunità, fortemente colpita dal sisma del 2016, per riscoprire un patrimonio comune che è il vanto del territorio. Tanti giovani, studenti e visitatori che possono visitare da vicino un cantiere di scavo che regala grandi scoperte. A fine luglio, al termine della campagna di scavo, i risultati delle ricerche sono stati presentati nel corso di una conferenza conclusiva organizzata dall’Amministrazione Comunale presso l’Area archeologica. L’incontro con gli archeologi dell’Università di Bologna e della Soprintendenza delle Marche ha avuto l’obiettivo di comunicare ad appassionati e studiosi le novità emerse oltre alle nuove prospettive di ricerca per questo sito unico nelle Marche.