Barbara Azzimonti
L’aggressività dei carcinomi cutanei a cellule squamose
I tumori cutanei si possono presentarsi sotto forma di melanomi o di lesioni non associate al melanoma (NMSC). I primi originano dai melanociti, cellule designate alla produzione del pigmento melanina responsabile del colore della pelle. Alla seconda categoria appartengono invece i tumori che derivano dai cheratinociti, le cellule più rappresentate nella cute. Tra di essi si annoverano il carcinoma a cellule basali (BCC) e il carcinoma a cellule squamose (SCC), oltre a cheratosi attinica (AK) e malattia di Bowen (BD), entrambe lesioni benigne che possono però evolvere in SCC. I BCC e gli SCC da soli rappresentano oltre il 90% di tutte le neoplasie della pelle, con 2-3 milioni di casi all’anno: il loro tasso di incidenza è circa 10 volte superiore rispetto a quello del melanoma che, tuttavia, risulta più letale. I fattori di rischio per il loro sviluppo sono l’esposizione cronica e cumulativa ai raggi solari (UV) o uno stato di depressione immunitaria spesso correlato al trapianto d’organo.
Altre situazioni che possono contribuire in modo sostanziale all’insorgenza di SCC e alla loro maggiore aggressività sono rappresentate da alterazioni dell’equilibrio (disbiosi) della flora microbica cutanea (microbiota) favorenti infezioni esogene ed endogene da parte di normali commensali, quali i Papillomavirus umani (HPV) e lo Staphylococcus aureus che, diventando predominanti, si trasformano in patogeni opportunisti con meccanismi non ancora completamente noti. In questo contesto alcune cellule, denominate linfociti infiltranti il tumore (TIL), possiedono un ruolo molto importante nel processo neoplastico, in quanto, una volta lasciato il torrente circolatorio, migrano nel tumore per eliminare le cellule cancerose.
A questa categoria di globuli bianchi appartengono i linfociti T regolatori (Treg; Foxp3+/CD25+) che modulano la risposta immunitaria in modo da evitare l’attacco di molecole non dannose per l’organismo.
L’accumulo di queste cellule nella pelle è favorito dai raggi UV che di contro inibiscono la funzione delle cellule dendritiche plasmocitoidi (pDC; CD123+) attraverso l’azione pro-infiammatoria di alcune sostanze denominate interleuchine (IL), di cui la IL-10 è un esempio. Queste cellule sono dei veri e propri guardiani, in quanto sono tra le prime cellule dendritiche a venire a contatto con virus, batteri e cellule tumorali, e a produrre in risposta grandi quantità di interferone-alpha (IFN-α).
Siccome queste cellule attivano i linfociti T helper (CD4+) e citotossici (CD8+), si ipotizza che possano rappresentare un ottimo bersaglio di immunoterapie; alcuni vaccini basati sul loro utilizzo sono stati già utilizzati per il trattamento di alcuni tumori, anche se con scarsi risultati. La ragione sembra essere legata all’azione immunosoppressiva dei Treg, del fattore antitumorale TGFβ-1 e della IL-10, la cui espressione è richiesta dai microrganismi patogeni e/o commensali. C’è un chiaro rapporto tra i Treg e le pDC in grado di condizionare lo sviluppo tumorale e la prognosi. Per questo motivo, la ricerca si sta sempre più focalizzando sulla valutazione del ruolo di queste cellule negli SCC, anche se per ora si è concentrata solo separatamente su queste due tipologie
cellulari. Per questo motivo nel nostro studio, attraverso un’analisi immunoistochimica, abbiamo valutato la presenza e co-localizzazione dei Treg e delle pDC e il rapporto tra i linfociti T helper e citotossici, entrambi deputati alla difesa e all’eliminazione delle cellule infettate e/o tumorali, e i Treg in una serie di 40 lesioni SCC a diverso grado di malignità (20 ben differenziate, meno aggressive_G1 e 20 moderatamente o poco differenziate, più aggressive_G2-G3) sia all’interno del tumore che nelle zone circostanti, con lo scopo di evidenziare una possibile correlazione con l’aggressività tumorale. I risultati di questa ricerca evidenziano livelli di Treg aumentati e di pDCs ridotti all’interno delle lesioni degli SCC più maligni rispetto a quelli meno aggressivi, e un basso rapporto tra linfociti T citotossici e Treg, e come (queste cellule) possano costituire un fattore determinante nel favorire la progressione tumorale. Le ragioni biologiche alla base del richiamo dei Treg nei tessuti tumorali è ancora oggetto di dibattito. Una spiegazione verosimile è che siano attratti da citochine secrete dalle cellule tumorali. Tra le molteplici, abbiamo investigato la presenza di IL-10 e TGFb-1 e abbiamo riscontrato un loro aumento significativo nei tumori più aggressivi. Le implicazioni immunoterapeutiche dovrebbero dunque essere indirizzate ad eliminare i Treg attraverso l’utilizzo di anticorpi monoclonali diretti contro CD25 o Foxp3, anche se questo ultimo marcatore è meno accessibile dalle immunoglobuline in quanto localizzato nel nucleo.
I nostri risultati dimostrano come il successo delle nuove tecnologie terapeutiche sia strettamente correlato alla corretta acquisizione di questi dati.