Carmela Rita Balistreri
L’infezione da SARS CoV2 e gli studi sulla longevità
L’infezione da COVID-19 evoca nei soggetti affetti manifestazioni cliniche variabili, da asintomatiche a letali.
Le potenziali cause non ne sono note, ma l’età sembra essere cruciale. I soggetti anziani e di genere maschile mostrano una prognosi più severa, con sviluppo di sindrome da distress respiratorio.
Oltre l’età, la recente letteratura riporta che l’intensità e tipo di risposta infiammatoria, la presenza di altre comorbidità (ipertensione, obesità, diabete), e l’avere, il soggetto affetto, bassi livelli dell’enzima ACE 2 (regolante la pressione sanguigna, infiammazione, stress ossidativo e fibrosi) costituiscono fattori modulanti gli effetti dell’infezione da COVID-19 nell’ospite, e sono espressione dell’assetto genetico di ciascun individuo. Di conseguenza la componente genetica dell’ospite appare come altro fattore cruciale regolante la suscettibilità, prognosi ed out-come dell’infezione da SARS CoV2. Ad avvalorare questa ipotesi è un’altra peculiarità dell’infezione.
Si tratta del tasso di mortalità trai nonagenari e ultra-nonagenari, che risulta inferiore a quello dei soggetti anziani con età media di 80 anni, e tra questi il maggior numero uomini con 70-89 anni di età (le donne affette e decedute sono più anziane rispetto agli uomini, 85 vs. 79 anni), e pressoché uguale tra i due generi (53% negli uomini vs. 46% nelle donne; anche se il numero assoluto di morti si ha nelle donne ultra-nonagenarie).
Il ridotto tasso di mortalità per COVID-19 nei nonagenari e ultra-nonagenari, e la comprovata migliore prognosi, rispetto ai soggetti con minore età, rafforza l’ipotesi del ruolo della genetica nell’eterogeneità clinica dell’infezione da SARS CoV2.
Altro fattore cruciale appare il genere. Gli uomini, rispetto alle donne, sono più suscettibili all’infezione da SARS CoV2 per l’incidenza maggiore di preesistenti patologie (quali malattie cardiovascolari, ipertensione, diabete di tipo 2, e malattie croniche polmonari), abitudini di vita non salutari (quali fumo di sigaretta e abuso di alcol) e maggiori fattori di rischio occupazionali. Uomini e donne differiscono anche per fattori biologici, quali i diversi livelli circolanti degli ormoni sessuali (estrogeni, progesterone e androgeni), coinvolti nella regolazione differenziale del sistema immune tra i due generi. Le donne, espressione di un mosaico funzionale di geni sui cromosomi X, tra cui i geni immuni, mostrano risposte immuni più robuste degli uomini abili a far fronte alle infezioni e più propensi ai vaccini a renderle più suscettibili a malattie infiammatorie e autoimmuni.
Nel complesso, emerge il ruolo della componente genetica, età e genere dell’ospite nell’eterogeneità clinica di COVID-19.
Genetica, età e genere sono fattori cruciali che influenzano l’insorgenza, la progressione e le complicanze non solo delle infezioni da patogeni, come le virali, ma anche delle patologie correlate all’età.
Il nostro gruppo di ricerca ha eseguito, negli ultimi 20 anni, numerosi studi sui tre fattori ottenendo risultati interessanti che ci portano a suggerire come varianti genetiche di molecole, coinvolte nella regolazione delle risposte immune-infiammatorie, sono fattori di rischio per l’insorgenza e progressione delle patologie età correlate, infezioni incluse, e reciprocamente fattori protettivi per la sopravvivenza influenzando positivamente l’aspettativa di vita, la qualità dell’invecchiamento e il raggiungimento di età eccezionali, ossia la longevità, come comprovato dagli interessanti dati ottenuti sugli ultra-nonagenari.
Loro rappresentano una classe di età eccezionale, che non solo ha raggiunto limiti estremi di aspettativa di vita, ma è riuscita a sfuggire all’insorgenza delle più fatali patologie età correlate, quali le cardiovascolari, i tumori, e le infezioni.
I dati dei nostri studi sui longevi ci hanno suggerito che la longevità è il risultato eccellente di un’ottima performance del sistema immune correlato ad un over-espressione di varianti antinfiammatorie in geni immune-infiammatori.
Allo stesso tempo, abbiamo anche suggerito, insieme ad altri gruppi, che oltre la genetica, il genere ha un ruolo cruciale e spiega il concetto di femminilizzazione dell’età anziana. In questa visione, il ridotto eccesso di mortalità per l’infezione da SARS CoV2 negli uomini over 90 anni, rispetto alle donne di uguale età, ci porta a speculare che i dati ottenuti dai nostri studi sulla genetica della longevità potrebbero essere utili nell’identificare profili genetici associati alla suscettibilità e/o protezione all’infezione da COVID19 e targets per lo sviluppo di terapie personalizzate, su un largo campione con i longevi come controllo e tecniche multiomics.