Giuseppe Boriani
Massa corporea e effetti della terapia anticoagulante nei pazienti con fibrillazione atriale
La fibrillazione atriale (FA) è l’aritmia cardiaca più comune ed è associata a un aumento di 5 volte del rischio di ictus e a un aumento della mortalità.
La FA nella popolazione ha una prevalenza che aumenta con l’età e crescerà nei prossimi anni. Il principale rischio dei pazienti affetti da FA è il verificarsi di una tromboembolia a livello cerebrale, con conseguente ictus, che spesso (Figura) determina disabilità invalidanti. Si stima che tra il 20 e 30% degli ictus sia secondario a tromboembolismo da FA. Per ridurre significativamente il rischio di questa grave complicanza è necessario iniziare e mantenere nel tempo una Terapia Anticoagulante Orale (TAO).
I farmaci disponibili per effettuare una TAO sino a qualche anno fa erano solo i gli antagonisti della vitamina K (VKA), farmaci per il cui monitoraggio era necessario un periodico controllo dell’effetto sulla coagulazione, ma da alcuni anni sono disponibili dei nuovi farmaci, chiamati Anticoagulanti Orali Diretti (DOAC) che producono il loro effetto attraverso un meccanismo diverso, agendo direttamente sui fattori della coagulazione e che non richiedono monitoraggio dell’effetto anticoagulante, ma che richiedono la somministrazione di una dose definita in base a parametri di riferimento quali età, funzione renale e peso corporeo. Nel mondo reale la popolazione presenta un ampio spettro di variabilità del peso, andando dai soggetti sottopeso ai soggetti con obesità di vario grado. L’obesità è un problema crescente tanto nella popolazione occidentale quanto nei paesi a rapida crescita economica. Per la misurazione dell’obesità viene comunemente utilizzato l’ Indice di Massa corporea (IMC), detto anche Body mass Index (BMI). Il BMI è dato dal risultato del rapporto tra il peso corporeo in chilogrammi e il quadrato dell’altezza in metri. La classificazione da tenere in considerazione è la seguente: Sottopeso: BMI < 18.5; Normopeso: BMI 18.5-24.9; Sovrappeso: BMI 25-29.9; Obesità I grado: BMI 30- 34.9; Obesità di II grado: 35-39.9; Obesità di III grado: BMI > 40. (Figura) L’incidenza di FA è maggiore nei pazienti obesi rispetto ai pazienti non obesi ma sembra che la sopravvivenza sia migliore nei pazienti obesi con FA, aspetto di per sé paradossale che è stato riportato come “obesity paradox”, considerando che nella popolazione generale è ben stabilito che un BMI elevato è associato a una mortalità più elevata. In realtà la relazione tra BMI e ictus è complessa e necessita di valutazioni su ampie casistiche.
In particolare, considerando la ampia varietà dei pazienti con FA che necessitano di terapia anticoagulante e i vari fattori, in primis il peso corporeo ci siamo posti il problema di analizzare la relazione fra BMI e terapia anticoagulante, sia con warfarin che con uno dei DOAC, l’edoxaban in un ampio dataset, che includeva più di 20000 pazienti, corrispondente al più ampio studio condotto su un farmaco DOAC nella FA (ENGAGE AF-TIMI 48). Lo studio (Boriani G, Ruff CT, Kuder JF, Shi M, Lanz HJ, Rutman H, Mercuri MF, Antman EM, Braunwald E, Giugliano RP. Relationship between body mass index and outcomes in patients with atrial fibrillation treated with edoxaban or warfarin in the ENGAGE AF-TIMI 48 trial. Eur Heart J. 2019 May 14;40(19):1541-1550) verra qui riportato nei suoi aspetti principali. Nelle analisi condotte è emerso che la coorte oggetto di studio (N=21028) includeva pazienti nello spettro delle categorie di BMI (kg/m2): sottopeso (< 18,5) nello 0,8%, pazienti di peso normale (da 18,5 a < 25) nel 21,4%, sovrappeso (da 25 a < 30) nel 37,6%, moderatamente obesi (da 30 a < 35) nel 24,8%, gravemente obesi (da 35 a < 40) nel 10,0%, e molto gravemente obesi (≥ 40) nel 5,5%. In un’analisi aggiustata dell’intera coorte, un BMI più elevato (variabile continua, per aumento di 5 kg/m2) si è associato significativamente a minore rischio di ictus/embolia (Hazard ratio 0,88; P=0,0001) e morte (Hazard ratio 0,91; P<0,0001), ma con un aumento del rischio di sanguinamento (HR 1,05; P=0,0007) (Figura).Il trattamento con il farmaco DOAC edoxaban è stato stimato valutando le concentrazioni del farmaco nel sangue ed è emerso che le concentrazione di valle di edoxaban e l’attività anti-Fattore Xa erano simili tra i gruppi con BMI > 18,5 kg/m2. Gli effetti di edoxaban rispetto a warfarin su ictus/embolia, sanguinamento maggiore e i risultati clinici netti sono stati simili tra i gruppi con variabile BMI, indicando la sicurezza del trattamento con questo DOAC in tutti i sottogruppi di pazienti, classificati secondo il BMI. Le conclusioni di questo studio condotto su una ampia casistica indicano che un aumento del BMI era indipendentemente associato a un minor rischio di ictus/embolia e a una migliore sopravvivenza, ma con un aumento del rischio di sanguinamento. I profili di efficacia e sicurezza del farmaco anticoagulante testato (edoxaban) erano simili nelle categorie di BMI comprese tra 18,5 e > 40 fornendo importanti rassicurazioni sul trattamento dei pazienti con FA.