Giuseppe Cappellano
Le vescicole extracellulari piastriniche come biomarcatore dell’infezione da Sars-Cov-2
Alla fine del 2019, un nuovo ceppo di coronavirus, noto come SARS-CoV-2 mai precedentemente identificato nell’uomo, ha causato la malattia da Coronavirus 2019 (COVID-19). Tale infezione diffusasi inizialmente in Cina, nei mesi successivi si è estesa rapidamente nel resto del mondo causando una pandemia senza precedenti.
Ad oggi, la pandemia globale da COVID-19 ha causato oltre 200 milioni di infezioni e oltre 4 milioni di morti.
I sintomi clinici del COVID-19 variano da infezioni asintomatiche a quelle caratterizzate da sintomi lievi come febbre, perdita di appetito, tosse etc. Tuttavia, nei pazienti fragili si manifestano sintomi più severi come l’insufficienza respiratoria che richiede la ventilazione meccanica e il ricovero in terapia intensiva. La metodica gold standard per la diagnosi dell’infezione da SARS-CoV-2 è il test molecolare su tampone nasofaringeo, un test che rileva e identifica la presenza del genoma (RNA) del virus attraverso protocolli Real-Time PCR. Attualmente, la ricerca sta puntando all’ identificazione di biomarcatori che consentano la stratificazione dei pazienti in severi ed in quelli con delicato/moderato rischio. Tali biomarcatori potrebbero essere utilizzati come guida nelle decisioni terapeutiche, prima della manifestazione clinica dei sintomi severi.
Diversi studi hanno dimostrato la validità scientifica dell’analisi delle vescicole extracellulari (VE) piastriniche come biomarcatori di malattie, incluse le infezioni virali: tale approccio non era stato ancora studiato nel COVID-19.
Le VE sono piccole particelle dotate di un doppio strato fosfolipidico e vengono rilasciate da tutte le nostre cellule in condizioni sia fisiologiche che patologiche. Le VE sono presenti in tutti i fluidi corporei (ad esempio sangue, saliva, urina etc) che sono facilmente accessibili con metodi non invasivi. Grazie a queste vescicole, le cellule, che siano vicine o distanti tra loro, uguali o differenti, possono comunicare tra di loro. Inoltre, il loro contenuto (ricco in DNA, proteine, mRNA, miRNA etc) viene trasferito alla cellula bersaglio influenzandone così il suo fenotipo e le sue funzioni. Le VE più abbondanti e maggiormente studiate sono quelle del sangue che vengono rilasciate dalle piastrine, dalle cellule endoteliali e dai leucociti. Tuttavia, le VE non sono ancora entrate nella routine clinica per la diagnostica perché manca un protocollo standardizzato per la loro identificazione.
I metodi raccomandati dalla Società Internazionale delle Vescicole Extracellulari sono diversi (ad esempio centrifugazione differenziale, la cromatografia ad esclusione dimensionale e la microfluidica) e richiedono una manipolazione del campione; inoltre, i diversi passaggi di centrifugazione possono rappresentare una condizione di stress per le cellule con conseguente rilascio delle VE, introducendo cosi dei falsi positivi nell’analisi. Una tecnica molto promettente per l’identificazione delle VE è la citometria a flusso che permette la misurazione e la caratterizzazione di cellule o particelle sospese in un liquido. Grazie alla citofluorimetria, le VE possono essere identificate nei diversi fluidi biologici in base alle loro dimensioni e all’utilizzo di anticorpi coniugati con molecole fluorescenti in grado individuare specifici molecole (antigeni) di interesse che sono presenti sulla superficie delle VE. Tali molecole sono esattamente le stesse di quelle che si trovano sulla cellula parentale da cui si è originata la VE.
La nostra ricerca ha messo a punto un test che rileva direttamente nel sangue fresco e non manipolato le VE piastriniche: tale metodo si basa sulla citometria a flusso, utilizzando un kit brevettato. Il nostro test è rapido e discrimina, tra le diverse cellule del sangue, le VE piastriniche marcandole con specifici coloranti fluorescenti che rendono possibile l’enumerazione al citofluorimetro. Inoltre, tale test è di facile e pronta esecuzione da parte di qualsiasi laboratorio ospedaliero dotato di un citofluorimetro.
Lo studio clinico ha incluso due coorti indipendenti di pazienti Sars-CoV-2 positivi reclutati presso l’Ospedale Maggiore della Carità di Novara durante le prime due ondate di COVID-19 (Aprile-Novembre 2020), controlli sani ed infine quei pazienti ospedalizzati che erano risultati negativi al tampone molecolare ed avevano sviluppato una sintomatologia simile a quella del COVID-19. I nostri risultati hanno mostrato che le VE piastriniche erano significativamente aumentate solo in quei pazienti di entrambe le coorti che erano risultati positivi al tampone molecolare.
In conclusione, il nostro studio vorrebbe suggerire le VE piastriniche come biomarcatore di infezione di SARSCoV-2 e come strumento per i clinici per predire l’andamento e la prognosi della malattia.