Daniela Loconsole
Indagine di un focolaio epidemico da “variante inglese” di SARS-CoV-2
In Italia, la campagna vaccinale contro COVID-19 è iniziata a fine dicembre 2020 con il vaccino a mRNA BNT162b2 (Pfizer). Gli operatori sanitari sono stati il target prioritario in questa prima fase. Tale vaccino ha mostrato un’efficacia elevata non solo nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2 “wild type” ma anche nei confronti della VOC (Variant of Concern) lineaggio B. 1.1.7. Dopo le prime segnalazioni nel nostro paese nel dicembre 2020, questa VOC si è rapidamente diffusa raggiungendo una prevalenza del 54% nel mese di febbraio 2021.
In questo lavoro, abbiamo descritto un mini outbreak da “variante inglese” che ha coinvolto tre operatori sanitari, di cui due vaccinati con ciclo completo e seconda dose ricevuta un mese prima dell’infezione. Il focolaio si è verificato nel reparto di terapia intensiva di un ospedale COVID-19 e ha coinvolto due medici e un infermiere al lavoro nello stesso turno il 20 febbraio 2021. Il primo medico coinvolto era un uomo sano di 41 anni che ha manifestato congiuntivite il 23 febbraio e, due giorni dopo, forte astenia, febbre e coriza. Successivamente, sono comparsi anche anosmia e ageusia. Il tampone nasofaringeo eseguito il 27 febbraio era positivo per SARS-CoV-2. Il secondo medico era una donna di 34 anni senza patologie di base, che ha esordito con tosse il 28 febbraio. Il tampone nasofaringeo eseguito 2 giorni dopo ha confermato l’infezione da SARS-CoV-2. Entrambi i casi erano vaccinati con due dosi di vaccino a mRNA, ricevute a distanza di 21 giorni, come previsto dalla schedula vaccinale. I test sierologici per la ricerca di IgG anti-spike di SARS-CoV-2 hanno mostrato titoli di 1.774 AU/mL e 2.500 AU/mL, rispettivamente.
Il terzo soggetto coinvolto nel focolaio era un infermiere di 51 anni che aveva rifiutato la vaccinazione. L’infezione da SARS- CoV-2 si è manifestata con febbre alta a partire dal 25 febbraio ed è stata confermata con tampone nasofaringeo il 27 febbraio. I tre casi di COVID-19 sono stati classificati come “lievi” secondo i criteri del National Institute of Health (NIH).
I campioni dei tre casi avevano mostrato presenza di elevata carica virale, come confermato da Ct (Cycle treshold) <21 al test molecolare e proteina N >5.000 pg/mL al test antigenico (metodo CLEIA). I tre ceppi sono stati sequenziati mediante whole genome sequencing (WGS) confermando che si trattava di SARS-CoV-2 lineaggio B.1.1.7. L’analisi filogenetica suggeriva, inoltre, una fonte comune di esposizione. L’indagine epidemiologica ha evidenziato che l’origine più plausibile del focolaio fosse l’esposizione ad aerosol generato durante una procedura invasiva su un paziente con COVID-19. Nessuno dei tre casi, infatti, ha riferito altri fattori di rischio o esposizione a SARS-CoV-2 in setting diversi da quello ospedaliero. La sospetta fonte era un paziente di 50 anni con infezione nota da SARS-CoV-2 arrivato in pronto soccorso con insufficienza respiratoria ed edema polmonare. La gravità del quadro clinico aveva richiesto l’intubazione endotracheale. Il paziente è deceduto poco dopo e non è stato possibile prelevare campioni post mortem per la caratterizzazione molecolare di SARS- CoV-2. Gli operatori sanitari coinvolti nell’outbreak hanno eseguito tutte le procedure sul paziente da cui si sono contagiati utilizzando i dispositivi di protezione individuale (DPI) previsti da protocolli nazionali e regionali: maschera respiratoria FFP3, due paia di guanti, schermo facciale e camice monouso. Non sono stati utilizzati occhiali al di sotto degli schermi facciali.
Il focolaio da “variante inglese” in operatori sanitari qui descritto, fa emergere alcuni spunti di riflessione sull’aumentato rischio di trasmissione delle varianti di SARS-CoV-2, sull’elevato rischio di contagio degli operatori sanitari e sulla necessità di implementare ulteriormente l’uso di adeguati DPI nei setting assistenziali.
Da questo studio emerge il rischio di infezione sintomatica da variante B.1.1.7 in soggetti vaccinati a causa della aumentata trasmissibilità del virus. È possibile che le varianti di SARS-CoV-2 siano in grado di evadere l’immunità indotta dai vaccini e che si replichino in maniera più efficiente. I casi descritti in questo studio, infatti, mostravano un’elevata carica virale. Questo aspetto è particolarmente preoccupante in relazione alla possibilità di trasmissione anche da parte dei vaccinati. I vaccini rappresentano uno strumento fondamentale per il controllo a lungo termine dell’infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione dovrebbe essere obbligatoria per gli operatori sanitari, target ad elevato rischio di infezione. L’elevata circolazione della “variante inglese” in Europa e in Italia suggerisce di innalzare il livello di attenzione sulle misure preventive negli ospedali. Infine, risulta fondamentale la WGS al fine di investigare gli outbreak e monitorare la circolazione delle varianti.