Cesare Faldini
La gestione dei pazienti ortopedici traumatizzati affetti da Covid-19
La sindrome respiratoria acuta grave Coronavirus COVID-19 si è sviluppata in Cina nel dicembre 2019 e si è rapidamente diffusa in tutto il mondo.
Dall’inizio della pandemia, il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) italiano ha dovuto far fronte a diverse criticità, tra cui la necessità di un aumento delle unità di terapia intensiva (UTI) e dei posti letto ospedalieri. All’inizio di marzo 2020, i governi regionali hanno deciso di centralizzare tutti i pazienti COVID-19 affetti da malattie acute in hub selezionati.
I casi di emergenza e trauma sono stati accentrati in ospedali dedicati, mentre è stata sospesa la chirurgia elettiva per supportare le esigenze del SSN; il riassetto è stato rapido, sebbene tutte le modifiche non siano state simultanee, e gli attuali protocolli gestionali sono il risultato di un continuo processo di riorganizzazione.
Tale riorganizzazione ha coinvolto anche l’Istituto Rizzoli, tra i più antichi istituti ortopedici del mondo, fondato nel 1896. L’Istituto Ortopedico Rizzoli è una struttura dedicata alla gestione di casi di chirurgia ortopedica complessa, eseguita nella maggior parte dei casi in maniera elettiva. Dall’inizio della pandemia l’istituto Rizzoli è stato riconvertito in centro traumatologico per la gestione dei pazienti nell’area metropolitana, come in maniera analoga era già accaduto durante la prima e la seconda guerra mondiale per rispondere alle esigenze della comunità e dei tanti feriti da conflitto.
I pazienti ortopedici acuti, in emergenza, in particolare i soggetti anziani con fratture o patologie tumorali, hanno un elevato rischio di sviluppare complicanze legate al ricovero, con effetti spesso negativi sul recupero funzionale. Le infezioni polmonari sono cause comuni di morbilità e mortalità nei pazienti ospedalizzati e la sindrome respiratoria acuta grave causata dal COVID-19 su questi pazienti ha ampiamente dimostrato di avere un impatto particolarmente negativo sui risultati e sulla sopravvivenza.
La condivisione delle caratteristiche dei pazienti e sulle modalità di ospedalizzazione, oltre che dei relativi risultati potrebbe migliorare la gestione dei pazienti affetti da COVID-19 nei reparti traumatologici e contribuire quindi a migliorare lo standard di cura.
Al fine di apportare un contributo alla comunità scientifica si è voluto descrivere l’esperienza dell’istituto ortopedico Rizzoli nel trattamento di pazienti sospetti e positivi al COVID-19 durante il primo periodo di pandemia.
È stata analizzata una coorte di 25 pazienti consecutivi con infezione sospetta o confermata da COVID-19.
Sono stati valutati: le modlità di riorganizzazione del sistema sanitario, la presentazione clinica dei pazienti, le modalità di diagnosi, i risultati di laboratorio, il trattamento e gli esiti.
Tra i casi confermati e sospetti non è stata osservata una chiara prevalenza di comorbidità o una diretta correlazione con il tipo intervento chirurgico eseguito. Sono stati registrati 9 tamponi positivi e 14 casi con sospetti reperti TAC. Dall’insorgenza dei sintomi sono state riportate diverse alterazioni nei principali parametri di laboratorio: anemia, leucocitosi, linfopenia, alterazioni della coagulazione, fosfatasi alcalina, alterazioni degli enzimi epatici e della proteina C-reattiva.
Diciannove pazienti sono stati trattati con ossigeno-terapia, 3 pazienti hanno ricevuto terapia anti-antivirali, 8 terapia antibiotica e 9 idrossiclorochina. Il numero di pazienti dimessiè stato superiore al 52% e il numero di decessi del 20%.
Considerando le diverse modalità di terapia somministrata, non sono emerse differenze significative sul tempo impiegato per la regressione dei sintomi o sul tempo di negativizzazione del tampone. In particolare, la terapia con idrossiclorochina o azitromicina non ha mostrato vantaggi rispetto ad altri farmaci o nessuna terapia somministrata. Tuttavia, la profilassi antitromboembolica somministrata da protocollo aziendale a tutti i pazienti ortopedici potrebbe aver contribuito alla riduzione delle complicanze e della mortalità.
Secondo l’esperienza riportata, lo sviluppo di algoritmi di gestione dei pazienti ha permesso di differenziare i percorsi clinici dei pazienti negativi e sospetti e positivi, riducendo l’esposizione e la diffusione del virus.
Tuttavia, sono ancor oggi necessarie ulteriori ricerche per ottimizzare le strategie di trattamento, stabilire protocolli condivisi e acquisire una migliore comprensione delle caratteristiche del paziente affetto da COVID-19 e dei possibili fattori di rischio a seguito di interventi chirurgici in ortopedia e traumatologia.