Gabriella D’ettorre
Procalcitonina; pct; biomarcatore; sars-cov-2; covid-19; icu; unità di terapia intensiva; pazienti in condizioni critiche
Durante la pandemia da SARSCoV2, la gestione delle superinfezioni batteriche nei pazienti critici è stata una sfida importante, soprattutto nelle unità di terapia intensiva. In particolare la possibilità di distinguere precocemente i segni clinici di una superinfezione batterica da quelli del COVID-19 ha rappresentato un aspetto rilevante nella gestione dei pazienti critici. Approfittando della grande esperienza maturata in epoca pre-COVID sull’uso della procalcitonina (PCT) come biomarker in grado di distinguere le infezioni batteriche da quelle virali, anche in corso di pandemia questo marcatore è stato ampiamente utilizzato come strumento diagnostico.
Tuttavia la gestione dei pazienti durante la pandemia si è basata principalmente su approcci preesistenti, la cui validazione è avvenuta sul campo piuttosto che in studi clinici dedicati. In particolare nel tempo un numero crescente di evidenze ha messo in discussione l’efficacia della PCT nel guidare la terapia antibiotica nel setting dell’infezione da SARSCoV2. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare se la PCT possa essere considerata uno strumento diagnostico affidabile in grado di identificare con precisione la sepsi (BSI) e la polmonite associata alla ventilazione (VAP) secondarie superinfezione batterica anche nei pazienti gravemente malati per COVID-19.
In questo studio osservazionale retrospettivo, è stata arruolata una coorte di pazienti critici con infezione da SARSCoV2 ricoverati in terapia intensiva e sopravvissuti per almeno 2 giorni dopo l’intubazione. I valori di PCT sierica venivano associati cronologicamente con le emocolture e/o colture del broncoaspirato; veniva quindi analizzato l’andamento temporale delle variazioni della PCT in funzione delle eventuali superinfezioni batteriche rilevate. Per tenere conto delle misurazioni ripetute di PCT per ciascun paziente, è stato costruito un modello di regressione multivariabile con equazione di stima generalizzata (GEE) per esplorare l’associazione cronologica contemporanea dell’esposizione di interesse (positività al PCT) con l’outcome di interesse (coltura del sangue positiva) attraverso la stima del suo rapporto di odds (aOR) corretto e gli intervalli di confidenza (IC) associati al 95% (Modello 1). Per tener conto anche dei possibili ritardi tra il picco di PCT nel sangue e la positività della coltura del sangue, è stato costruito un secondo modello statistico (Modello 2) considerando come positivo il test del PCT nelle 24 ore precedenti e successive all’identificazione della positività al PCT (PCT-72 ore). Nel periodo di ricerca, sono stati reclutati 184 pazienti; si sono verificati 67 casi di VAP/BSI, con un tasso di incidenza di 21,8 episodi di VAP/BSI (IC del 95%: 17,18-27,73) per 1000 giorni-paziente tra i pazienti inclusi.
Al momento di una cultura microbiologica positiva, è stato riscontrato un livello di PCT oscillante tra 1,25 del modello 1 e 3,2 ng/mL del modello 2. Inoltre, anche nei soggetti senza culture positive, la PCT è stata alterata nel 21,7% delle determinazioni, con un valore oscillante tra 1,04 (modello 1) 5,5 ng/mL (modello 2). Sia nel primo che nel secondo modello di analisi, la PCT non era associata a una diagnosi di VAP/BSI nei pazienti COVID-19, secondo i modelli multivariati GEE (aOR 1,13, IC del 95% 0,51-2,52 per la PCT; aOR 1,32, IC del 95% 0,66-2,64 per la PCT-72 ore). In conclusione, livelli elevati di PCT potrebbero non sempre indicare superinfezioni o co-infezioni batteriche in un contesto di grave COVID-19. Una possibile spiegazione potrebbe essere che nel COVID-19 la produzione di PCT possa essere influenzata direttamente dalla risposta immunitaria al virus indipendentemente dalla presenza o meno di una superinfezione batterica. In questo senso alcuni studi preliminari hanno descritto una produzione ectopica di PCT da parte dei monociti sotto stimolo del SARSCoV2: ciò potrebbe spiegare i valori elevati di PCT osservati in pazienti con COVID ma senza superinfezione batterica.
La validazione degli strumenti diagnostici in contesti diversi da quelli in cui sono stati precedentemente testati e approvati è una delle preoccupazioni più significative nella pratica clinica. Il monitoraggio dei livelli di PCT si è dimostrato di grande supporto nella diagnosi precoce e nella gestione di infezioni batteriche in pazienti negativi per SARSCoV2. Tuttavia è stato parimenti osservato che può trarre in inganno nel contesto del COVID-19 severo. È importante sottolineare che i livelli di PCT da soli potrebbero non essere sufficienti per differenziare tra infezione virale da SARS-CoV-2 e superinfezioni batteriche. Ulteriori valutazioni cliniche, compresi altri test di laboratorio e studi di imaging, sono necessarie per effettuare una diagnosi accurata di superinfezione nei pazienti critici affetti da COVID-19.
Ampi studi di validazione sono necessari per confermare queste osservazioni.