Ravello
Sorta nel VI secolo, intorno all’anno Mille venne popolata da un gruppo di nobili della Repubblica marinara di Amalfi, ribellatisi all’autorità del doge. Ravello fu scelta perché sorge su una posizione ben difendibile, sull’alto di un contrafforte che separa il vallone del torrente Dragone da quello del Reginna, alle pendici meridionali dei monti Lattari, a strapiombo sul mare.
La città divenne rapidamente prospera, in particolare grazie ad una fiorente filatoria della lana anticamente detta “Celendra” (concessa dal re Carlo II d’Angiò al vescovo Giovanni Allegri il 23 aprile del 1292), alla provvida agricoltura ed agli intensi scambi commerciali intrattenuti sulle rotte del Mediterraneo, soprattutto con le genti arabe e bizantine.
Già elevata a sede vescovile nel 1086, nel corso del secolo successivo si confermò autentica potenza: basti dire che contava già 30.000 abitanti. Nel 1137 Bernardo da Chiaravalle definiva la città “antichissima, munitissima ed inespugnabile, oltre che opulentissima, tanto bella che si può facilmente annoverare tra le prime e nobili città”.
Il Ravello Festival, nella sua attuale configurazione, deriva da una serie di iniziative precedenti che ne fanno uno dei più antichi festival italiani. Va riconosciuto a Girolamo Bottiglieri e a Paolo Caruso l’ideazione dell’evento culturale che più di ogni altro avrebbe contribuito a costruire l’identità di Ravello come “Città della musica”. L’associazione del nome di Wagner alla Villa Rufolo, resa splendida e accogliente dal filantropo scozzese Francis Neville Reid, era troppo allettante per non suggerire l’idea di realizzare concerti in un sito benedetto personalmente dal grande compositore. Per questo motivo, negli anni Trenta, l’orchestra del Teatro di San Carlo vi si esibì più di una volta, con programmi legati appunto a Wagner.
A uno di questi concerti presenziarono anche i Principi di Piemonte, e Ravello ricambiò l’onore della loro visita dedicando alla Principessa il belvedere che attualmente separa l’albergo Sasso dall’albergo Palumbo. L’idea rimase nell’aria, così che Paolo Caruso la ripropose, venti anni dopo, aggiungendovi l’ardita soluzione logistica di un palco sospeso nel vuoto.
L’iniziativa prese corpo grazie all’impegno dell’Ente Provinciale per il Turismo, allora diretto da Girolamo Bottiglieri e, nell’estate del 1953, in occasione del settantesimo anniversario della morte di Wagner, i “Concerti wagneriani nel giardino di Klingsor” (come diceva testualmente la copertina del programma di sala) presero avvio con due serate affidate all’Orchestra del Teatro di San Carlo diretta da Hermann Scherchen e William Steinberg.
Per anni Wagner è rimasto nume tutelare del festival e tuttora un’attenzione particolare viene devotamente riservata alle sue musiche. Ogni anno, puntualmente, i musicofili si accalorano sulla legittimità dei concerti all’aperto, punteggiati da suoni e rumori estranei alla musica. Ma, per i concerti di Villa Rufolo, vince il godimento complessivo dell’udito e della vista, dove l’imperfezione dell’uno è ampiamente compensata dalla magnificenza dell’altra. Come ha notato delicatamente Gore Vidal, “spesso, quando l’orchestra suona Wagner, la luna piena si alza dalle montagne i cui contorni ricordano un drago con la testa dolcemente reclinata sulla spiaggia, verso est, mentre gli uccellini di Ravello, musicalmente bene istruiti dopo tutti questi anni, fanno il contrappunto dall’alto dei pini scuri”.