Antonino Salvatore Rubino
Attività cardiochirurgia nazionale durante la pandemia COVID-19
La pandemia da SARS-Cov-2 (COVID-19) rappresenta la più grande crisi infettiva al mondo negli ultimi 100 anni. L’Italia è stato il primo Paese europeo colpito, ed al tempo della nostra ricerca è stato il terzo per numero di vittime dopo Regno Unito e Spagna. Nonostante i numerosi tentativi di controllare la diffusione dell’infezione, la prevalenza è aumentata in modo significativo e ha portato a un lockdown nazionale il 9 marzo 2020, conclusosi solo il 4 maggio. Con l’aumento dei casi di insufficienza respiratoria acuta che richiedevano il ricovero in terapia intensiva, è diventato evidente un drammatico squilibrio tra le esigenze sanitarie della popolazione e l’effettiva disponibilità di risorse per le cure acute e critiche. In questo scenario di medicina di emergenza, l’allocazione delle risorse sanitarie è stata rimodulata sulla base del principio di proporzionalità delle cure, lasciando molti pazienti, specialmente quelli con altre malattie, senza cure adeguate, così portando ad un possibile aumento dei casi di decessi non correlati al COVID-19 come ulteriore drammatica conseguenza della pandemia. Infatti, il rischio di trascurare i pazienti gravemente malati e di rimandare i trattamenti salvavita è stato elevato durante la fase centrale dell’epidemia. Pertanto, il rimodellamento degli algoritmi terapeutici per le cure mediche e chirurgiche non COVID-19 è diventato obbligatorio.
Al tale scopo, abbiamo condotto uno studio per descrivere i cambiamenti a livello nazionale dell’attività cardiochirurgica durante l’emergenza sanitaria.
Un questionario è stato inviato ai centri italiani di Cardiochirurgia associati alla Società Italiana di Cardiochirurgia, allo scopo di indagare: la redistribuzione delle risorse sanitarie dedicate alla Cardiochirurgia durante la pandemia; le modalità di screening; il numero, lo stato di urgenza, il tipo di procedure chirurgiche di tutti i pazienti consecutivi sottoposti a intervento chirurgico durante il lockdown nazionale. Tali dati sono stati confrontati con quelli relativi all’analogo periodo del 2019.
Trentanove strutture hanno aderito alla ricerca: 14 centri (35.9%) nel Nord Italia, 10 (25.6%) nel Centro e 15 (38.6%) nel Mezzogiorno. Trenta su 39 (76.9%) erano Centri di Riferimento (Hub) per pazienti COVID-19.
Tutti i Centri, ad eccezione di 2, hanno adottato protocolli specifici per lo screening dei pazienti ricoverati in ospedale e protocolli di sorveglianza per gli operatori sanitari.
Ogni Centro ha individuato percorsi specifici per i pazienti positivi o sospetti di positività al SARS-CoV-2. Allo stesso tempo, le visite dei parenti sono state abolite ed i colloqui con i medici effettuati per via telefonica o in spazi dedicati al di fuori dei reparti di degenza ordinaria. Le risorse ospedaliere sono state razionalizzate per far fronte all’epidemia nazionale e per fornire un adeguato supporto regionale. Abbiamo osservato una significativa riduzione dei posti letto nelle terapie intensive post-cardiochirurgiche, che in alcuni casi sono state convertite integralmente a terapie intensive COVID. Per quanto riguarda il personale sanitario, in media il 15% degli infermieri (fino ad un massimo dal 40%) e l’8% degli anestesisti (con punte del 100% in alcuni Centri del
Nord Italia) sono stati riallocati alle strutture di emergenza dedicate ai pazienti COVID-19. Tutto questo si è riversato in modo estremamente significativo sulle potenzialità di offerta terapeutica al territorio, che è stata ridotta in media del 55% rispetto al volume di procedure effettuate nel corrispondente periodo 2019 (1734 procedure durante il lockdown nazionale contro 3447 nel 2019). Nell’ottica di una offerta terapeutica proporzionale alla gravità delle patologie, la percentuale di interventi chirurgici elettivi (programmabili) è diminuita significativamente, a favore di interventi urgenti e di emergenza, con 22 centri (56,4%) che hanno interrotto la programmazione elettiva. Sorprendentemente, il numero di trapianti di cuore effettuati durante il lockdown non è stato sostanzialmente influenzato dalla pandemia. Questa indagine multicentrica nazionale mostra chiaramente l’impatto senza precedenti che l’attuale pandemia da COVID-19 ha avuto sulla pratica cardiochirurgica nazionale. Nonostante la maggior parte dei paesi occidentali si sia trovata tristemente impreparata, sia culturalmente che in termini di strutture e attrezzature, per affrontare una pandemia senza precedenti, la risposta della comunità cardiochirurgica italiana è stata tempestiva e tutti i centri hanno sviluppato politiche sanitarie specifiche. Questa esperienza dovrebbe portare allo sviluppo di piani permanenti per far fronte a possibili future pandemie e potrebbe aiutare a guidare efficacemente il processo decisionale politico nel dare priorità alla riallocazione delle risorse sanitarie una volta terminata l’emergenza sanitaria.