Gianluca Pucciarelli
Qualità di vita nelle famiglie italiane colpite da ictus: uno studio longitudinale
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito l’ictus come ” comparsa improvvisa di segni e/o sintomi correlati a deficit focali e/o coma globale delle funzioni cerebrali, duraturi superiore a 24 ore o fatale, e non imputabile ad altra causa se non manifestata a malattie cerebrovascolari” (OMS, 1978). L’ictus, oltre ad essere la principale causa di morte nel mondo, dopo le malattie cardiache e cancro, rappresenta anche la principale causa di disabilità negli adulti, con un impatto significativo sulla qualità della vita dei sopravvissuti e dei caregiver familiari.
A seconda del sito e tipo di ictus, i pazienti possono presentare sintomi fisici, psicologici o emotivi, che vanno a limitare la loro capacità durante le attività di vita quotidiana. L’ictus ha anche un impatto significativo sulla qualità della vita dei caregiver. La maggior parte delle cure fornite ai sopravvissuti all’ictus viene erogata a casa. I caregiver familiari spesso si sentono sovraccarichi, impreparati a prendersi cura e non sicuri della propria capacità di gestione. La scarsa preparazione dei familiari contribuisce ad aumentare i propri livelli di ansia, depressione e burden, impattando non solo sul proprio stato di salute ma anche su quella del paziente.
Partendo da questi presupposti, lo studio si è posto come obiettivo quello di analizzare quanto il paziente e caregiver siano interdipendenti tra loro. Nello specifico, è stato osservato come la funzionalità fisica del paziente impatti non solo sulla propria qualità di vita ma anche su quella del caregiver familiare e come il burden del familiare impatti sulla qualità di vita del paziente. Per tale fine, è stato condotto uno studio longitudinale multicentrico dove sono stati reclutati durante la dimissione dalla neuroriabilitazione e seguiti per 12 mesi, 244 pazienti affetti da ictus cerebrale e i loro rispettivi caregiver familiari. L’età media dei pazienti e dei loro caregiver al basale era 70,8 e 52,4 , rispettivamente. Il cinquanta per cento dei sopravvissuti all’ictus erano uomini, mentre il 66% dei caregiver erano donne. La maggior parte dei pazienti aveva avuto un ictus ischemico, equamente distribuito nell’emisfero destro e sinistro.
Dalle analisi per l’interdipendenza, si è osservato che la funzionalità fisica del paziente era associata positivamente non solo con la propria qualità di vita ma anche con quella del caregiver. Allo stesso modo, il burden del caregiver era associato negativamente con la propria qualità di vita e con quella del paziente. Più interessante, i miglioramenti nella funzionalità fisica del paziente erano associati non solo a miglioramenti nella qualità di vita dello stesso, ma anche del caregiver. Non solo la funzionalità fisica aveva un impatto significativo sulla qualità di vita di entrambi, ma al suo miglioramento sia paziente che caregiver presentavano miglioramenti nella propria qualità di vita. Differentemente, cambiamenti nei livelli di burden del caregiver erano associati con miglioramenti della propria qualità di vita, ma non su quella del paziente. Analizzando le covariate, alcune variabili, come il genere del paziente, il tipo di caregiver, la memoria/capacità cognitiva del paziente, i livelli di sintomatologia depressiva di entrambi, hanno giocato un ruolo importante nel predire la qualità di vita.
Coerentemente con la letteratura, infatti, i sopravvissuti all’ictus avevano una qualità di vita fisica e psicologica peggiore quando riportavano un funzionamento cognitivo più basso e livelli più elevati di depressione.
Inoltre, la preparazione del caregiver era significativamente associata alla qualità di vita ambientale dei sopravvissuti all’ictus.
Poiché il dominio ambientale della qualità di vita include risorse finanziarie, sicurezza fisica e protezione, accessibilità dei servizi sociali e sanitari, questi risultati suggeriscono che i caregiver che non si sentivano ben preparati per l’assistenza potrebbero essere stati meno abili nell’affrontare e ridurre queste barriere ambientali.
Queste associazioni sottolineano come i pazienti affetti da ictus e i propri familiari siano interdipendenti, ovvero si influenzano clinicamente.
Il fatto che pazienti e caregiver siano interdipendenti richiede la necessità di rivedere i modelli assistenziali e clinici delle nostre strutture sanitarie, soprattutto in quelle riabilitative, dove il familiare non venga lasciato fuori dal processo di cura ma sia reso parte attiva.
Pensare ad un modello assistenziale basato non più solo sul paziente ma anche sul familiare, permetterebbe di avere familiari più preparati nel prendersi carico dei pazienti soprattutto dopo la dimissione e il rientro a casa, abbattendo così i ricoveri impropri e le riospedalizzazioni.