Mattia Bellan
Sequele respiratorie e psicofisiche del COVID-19
L’infezione causata dal Severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 (SARS-CoV-2) può decorrere in maniera completamente asintomatica oppure causare il cosiddetto COVID-19 (Coronavirus disease 2019), che può manifestarsi con quadri clinici molto variegati, da lievi sino a forme molto severe caratterizzate da elevata
letalità. Dopo un anno e mezzo dall’inizio della pandemia, conosciamo decisamente meglio la fase acuta della malattia; siamo in grado di prevederne meglio la prognosi e di ottimizzarne l’approccio terapeutico. Tuttavia, appare sempre più evidente che alcune manifestazioni cliniche possano persistere anche per settimane o addirittura
mesi dopo la fase acuta di malattia; ma di queste sappiamo ancora relativamente poco, sia in termini di frequenza che di severità. Recentemente, è stato proposto il termine “long Covid” proprio per identificare la sindrome che può persistere a distanza di tempo da un’infezione da SARS-CoV-2. Nel presente studio, ci siamo proposti di valutare la prevalenza di alterazioni respiratorie, psicologiche e funzionali 4 mesi dopo la guarigione dal COVID-19, proponendoci di identificare anche eventuali fattori associati allo sviluppo di tali sequele.
Abbiamo condotto uno studio di coorte prospettica presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Novara su una serie consecutiva di soggetti maggiorenni che avessero ricevuto una diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 necessitante ospedalizzazione. Il periodo di ricovero era compreso tra l’1 Marzo e il 29 Giugno 2020, in occasione della cosiddetta “prima ondata”.
La diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 era stata confermata da una analisi molecolare condotta su tampone nasale o su lavaggio bronchiale o in presenza di esame sierologico suggestivo, associato a TAC torace consistente con una polmonite interstiziale ad origine virale. Abbiamo innanzitutto indagato la presenza di eventuali sequele respiratorie, utilizzando uno strumento molto sensibile, che costituisce il parametro funzionale più comunemente alterato durante la fase acuta della malattia: la cosiddetta DLCO (diffusing lung capacity for carbon monoxide), che valuta la capacità dei polmoni di scambiare i gas respiratori. Abbiamo valutato la percentuale di soggetti che presentassero una DLCO < 80% rispetto al valore atteso per sesso ed età.
Inoltre, abbiamo valutato:
– la proporzione di soggetti con un coinvolgimento polmonare più severo (DLCO <60% rispetto all’atteso);
– la proporzione di soggetti con sintomi post-traumatici da stress;
– la proporzione di soggetti con compromissione motoria: abbiamo valutato la funzione motoria utilizzando due strumenti molto semplici e facilmente ripetibili: il SPPB (Short Physical Performance Battery) e il 2-minutes walking test;
– la presenza di fattori potenzialmente associati ad una riduzione della DLCO o alla presenza di sequele psicologiche o funzionali.
Su 767 pazienti ospedalizzati per una forma severa di COVID-19, 494 (64.4%) non hanno fornito consenso alla partecipazione, mentre 35 (4.6%) sono deceduti durante i 4 mesi di follow-up post-dimissione. 238 pazienti (31.0%) (età mediana, 61 [50-71] anni; 142 [59.7%] uomini) hanno fornito consenso informato alla partecipazione allo studio. Di questi, 219 sono stati in grado di completare le prove di funzionalità respiratoria e la misurazione della DLCO. – Abbiamo identificato una riduzione della DLCO al di sotto della soglia dell’80% del valore predetto in 113 pazienti, corrispondenti al 51.6% della popolazione in studio; una compromissione più marcata con valori inferiori al 60% è stata evidenziata in 34 pazienti (15.5%). I fattori clinici associate a una riduzione
della DLCO < 80% sono stati: sesso femminile, insufficienza renale cronica e modalità di somministrazione dell’ossigeno durante la degenza ospedaliera. Una compromissione più severa (DLCO < 60%) si è rivelata associata a sesso femminile, broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e ricovero in terapia intensiva.
– Abbiamo inoltre dimostrato una riduzione dello score SPPB suggestiva di difetto funzionale motorio in 53 pazienti (22.3%). Coloro che, viceversa, hanno mostrato valori di norma a questo test di screening sono stati sottoposti a un 2 minutes walking test, finalizzato a identificare alterazioni subcliniche funzionali. Tale test è risultato alterato in 75 pazienti (40.5%); pertanto, mettendo insieme l’esito di tali due tests, abbiamo identificato un certo grado di compromissione motoria funzionale in 128 pazienti (53.8%), più frequente in chi risultava affetto da BPCO o che mostrava una più severa riduzione della DLCO.
– Infine abbiamo documentato la presenza di sintomi da disturbo post-traumetico da stress in 41 soggetti (17.2%). I nostri risultati suggeriscono che 4 mesi dopo la dimissione, è frequente riscontrare sequele respiratorie, fisiche e psicologiche, in soggetti ospedalizzati per COVID-19.