Stefano Cosma
COVID-19 e aborto spontaneo precoce
Il 31 dicembre 2019, le autorità sanitarie cinesi notificarono un focolaio di casi di polmonite ad eziologia non nota nella città di Wuhan. Fu quindi isolato e successivamente classificato come SARS-CoV-2 il nuovo coronavirus responsabile della malattia respiratoria definita come COrona VIrus Disease (COVID)-19. Ai primi di marzo 2020, l’Italia divenne, dopo la Cina, il nuovo epicentro del virus. L’11 marzo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dopo aver valutato i livelli di gravità e la diffusione globale dell’infezione da SARS-CoV-2, dichiarava pandemia, l’epidemia COVID-19.
La possibilità di trasmissione verticale dell’infezione materna da SARS-CoV-2 in utero, al parto o durante l’allattamento, ha presto rappresentato uno dei più rilevanti problemi di salute con cui confrontarsi, similmente a quanto accaduto per altri virus emergenti nel tempo come HIV, Ebola e Zika, scatenando una sorta di competizione collaborativa scientifica internazionale. Il timore dell’infezione neonatale al parto, che aveva portato in Cina ad un incremento significativo di tagli cesarei, venne ben presto ridimensionato dai dati incalzanti di letteratura. Tuttavia l’assenza di evidenze scientifiche circa i potenziali effetti dell’infezione SARS-CoV-2 sull’embriogenesi precoce e l’organogenesi, stimolò a concentrare la nostra ricerca sul rischio di trasmissione verticale intrauterino ed in particolare durante il primo trimestre di gravidanza.
Avevamo necessità di rispondere rapidamente e con chiarezza scientifica ad un bisogno emergente di salute sia psichica che fisica, quello della coppia che in periodo pandemico si apprestasse a pianificare una gravidanza o che l’avesse da poco intrapresa, evitando che la disinformazione potesse disincentivarne la programmazione o peggio condurre a scelte ingiustificate di interruzione della gravidanza. Il precoce coinvolgimento temporale dell’Italia dall’ondata pandemica, si tramutò in vantaggio scientifico rispetto al resto del mondo; inoltre, la rapida stesura e approvazione del protocollo di studio e l’originale disegno di studio, ci permisero in poco più di 3 mesi dalla dichiarazione di pandemia da parte dell’OMS, di formulare per primi a livello mondiale un messaggio rassicurante per la coppia: “l’infezione COVID-19 contratta in periodo periconcezionale o in corso di iniziale gravidanza non è gravata da un maggior rischio di aborto spontaneo”. Nel dettaglio, reclutammo 225 donne con epoca gestazionale inferiore alle 13 settimane, ripartite in due gruppi e offrimmo loro la possibilità di sottoporsi a test molecolare e sierologico per SARS-CoV-2 così da individuare sia le infezioni attive che quelle pregresse. Il primo gruppo o case group era composto dalle donne in gravidanza iniziale andate incontro ad aborto spontaneo e necessitanti di cure presso il nostro istituto; il secondo gruppo o control group dalle donne in gravidanza iniziale in evoluzione che afferivano al nostro centro per effettuare la diagnostica prenatale di screening. Mandatorio, ai fini del reclutamento, che l’ultima mestruazione risalisse, in entrambi i gruppi, ad un periodo precedente rispetto al primo caso di COVID-19 in Piemonte. Tale criterio di inclusione ci
permise di escludere la possibilità di sieroconversione da SARS-CoV-2 antecedente alla gravidanza e di definire la sieropositività nel gruppo dei casi come sicura sieroconversione gravidica. L’analisi siero-molecolare della popolazione in studio non dimostrò differenze significative nell’incidenza cumulativa di COVID-19 nelle donne con aborto spontaneo precoce (11%) rispetto a quelle con gravidanza in evoluzione (9.6%). Per accertarci che i nostri risultati non fossero inficiati da confondenti, indagammo in entrambi i gruppi, la distribuzione delle caratteristiche demografiche e l’esposizione a specifici fattori di rischio potenzialmente correlati con l’esito di interesse (aborto spontaneo). Le due popolazioni risultarono confrontabili ad eccezione dell’età che, tuttavia, inserita in analisi di regressione logistica, non risultò, al pari della variabile “COVID-19”, fattore indipendente predittivo di aborto. Un’analisi secondaria nel gruppo delle donne con aborto precoce, escluse anche disomogeneità tra la popolazione positiva e negativa a SARS-CoV-2, giustificando la generalizzazione dei risultati ottenuti. In conclusione, la nostra ricerca dimostra che l’infezione da SARS-CoV-2 durante il primo trimestre di gravidanza non aumenta il rischio di aborto spontaneo precoce. Tali risultati, successivamente citati dall’OMS nel documento del 8 Febbraio 2021 dal titolo “Definition and categorization of the timing of mother-to-child transmission of SARS-CoV-2”, sono fondamentali per lo specialista ai fini di una corretta consulenza preconcezionale e rassicuranti per la donna che intende pianificare una gravidanza durante la pandemia da SARS-CoV-2 o che contrae l’infezione durante il primo trimestre di gravidanza.