Antonio Suppa
Rigidità nella malattia di parkinson: evidenza da misure biomeccaniche e neurofisiologiche
La Malattia di Parkinson rappresenta un comune disordine neurodegenerativo in costante aumento secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e include circa 250.000 casi in Italia. Le principali caratteristiche cliniche della Malattia di Parkinson sono la bradicinesia (lentezza del movimento volontario), la rigidità muscolare e il tremore. È essenziale comprendere appieno i sintomi e segni clinici principali della Malattia di Parkinson per pianificare interventi adeguati di sanità pubblica.
La rigidità muscolare consiste in un aumento abnorme del tono muscolare ed è un tratto distintivo della Malattia di Parkinson essendo responsabile di limitazioni alla mobilità articolare degli arti, del tronco e del capo, e inducendo talvolta dolore cronico. I meccanismi alla base della rigidità parkinsoniana non sono ancora del tutto chiari anche a causa della mancanza di una misura strumentale affidabile e standardizzata di tale fenomeno. Uno studio internazionale coordinato dal Prof A. Suppa di Sapienza Università di Roma e dell’IRCCS Neuromed in collaborazione con la University College di Londra (UCL), UK e il National Institutes of Health (NIH) di Bethesda, USA, ha recentemente proposto un nuovo approccio metodologico al fenomeno che ha condotto ad un’interpretazione innovativa: la rigidità è collegata a una disfunzione di un circuito neurale specifico coinvolgente midollo spinale, cervelletto e formazione reticolare del tronco encefalico. Lo studio è stato consentito grazie all’utilizzo di un protocollo sperimentale innovativo basato su strumentazione robotica associata a specifiche misure neurofisiologiche e biomeccaniche (Figura 1). Tale protocollo ha consentito di misurare obiettivamente la rigidità muscolare in pazienti affetti da Malattia di Parkinson, e ha permesso di scomporre, attraverso un algoritmo dedicato, le forze misurate nelle loro subcomponenti biomeccaniche tra cui quelle intrinseche muscolari (componenti elastiche e viscose) e quelle neurali (componente neurale). Tutti i partecipanti (20 soggetti affetti da Malattia di Parkinson e 25 soggetti sani di controllo) sono stati sottoposti ad una valutazione robotica caratterizzata da estensioni del polso di ampiezza specifica (range totale del movimento di 50°; angolo iniziale di 20° in flessione palmare; angolo finale di 30° in estensione) e a sette diverse velocità angolari (una velocità lenta di 5 °/s e sei distinte velocità rapide di 50-100-150-200-236 e 280°/s). Per ciascun valore di velocità angolare, sono state valutate diverse misure biomeccaniche (ovvero le componenti elastiche, viscose e neurali) e neurofisiologiche (ovvero elettromiografia dei muscoli flessore radiale ed estensore radiale del carpo) consentendo la registrazione dei riflessi a breve (SLR) e lunga latenza (LLR) e infine la reazione di accorciamento (SR). Tutte le misure biomeccaniche e neurofisiologiche sono state poi correlate al punteggio della scala clinica standardizzata per la misura della rigidità ovvero la parte III della Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (UPDRS-III). Tutti i pazienti sono stati valutati durante trattamento farmacologico con L-Dopa (fase ON). La strumentazione robotica e l’algoritmo dedicato hanno consentito di misurare la “rigidità oggettiva” nella Malattia di Parkinson, di scomporne le subcomponenti biomeccaniche e di stimarne con precisione l’origine neuronale. Inoltre, lo studio ha consentito di descrivere il progressivo aumento della “rigidità oggettiva” in relazione alle velocità angolari utilizzate (Figura 2). Le misure biomeccaniche hanno consentito di attribuire la “rigidità oggettiva” ad un’abnorme componente neurale che risulta essere velocità-dipendente (progressivo aumento della subcomponente neurale in funzione della velocità angolare utilizzata). Inoltre, la valutazione neurofisiologica associata e sincronizzata con le misure biomeccaniche, ha consentito di osservare un aumento velocità-dipendente dei riflessi da stiramento a lunga latenza (LLR) (Figura 3) ma non dei riflessi a breve latenza (SLR) o della reazione di accorciamento (SR). Queste ultime due attività riflesse (SLE e SR) risultavano entrambe sovrapponibili nei pazienti e nei soggetti di controllo. Le osservazioni sperimentali (i.e., la velocità-dipendenza delle misure biomeccaniche e neurofisiologiche della rigidità oggettiva) suggeriscono globalmente che alla base della “rigidità oggettiva” nella Malattia di Parkinson ci sia una disfunzione nelle connessioni tra specifiche strutture nervose tra cui midollo spinale, cervelletto e formazione reticolare del tronco encefalico. L’anomala attivazione di tale network neuronale spiega il fenomeno della velocità-dipendenza delle misure biomeccaniche e neurofisiologiche nella Malattia di Parkinson e la loro correlazione con il punteggio della valutazione clinica della rigidità (UPDRS). Tale ultima osservazione (correlazione clinico-strumentale) supporta ulteriormente l’interpretazione complessiva dei risultati ottenuti.